1) Cosa l’ha spinto a scrivere questo libro?

Mi ha spinto il bisogno profondo di dare voce a una storia che rischiava di andare perduta. Sentivo che quel passato, vissuto con dolore ma anche con dignità, non poteva restare chiuso in un cassetto o confinato alla memoria familiare. Ho voluto trasformarlo in un racconto accessibile, perché credo che la storia personale di un uomo, anche se semplice, possa parlare a tutti. Scrivere questo libro è stato un atto d’amore e di riconoscenza verso chi ci ha preceduto e un modo per mettere ordine nei ricordi, per restituire umanità a un tempo segnato dalla guerra.


2) Quale messaggio intende trasmettere alle generazioni più giovani?

Alle nuove generazioni vorrei dire: non dimenticate. Ogni comodità di oggi, ogni libertà, ha avuto un prezzo altissimo pagato da chi è venuto prima. Questo libro è un invito ad ascoltare, a cercare nelle storie dei nonni e dei bisnonni le radici della propria identità. Vorrei trasmettere il valore della memoria, l’importanza della resilienza, e il coraggio di restare umani anche nei momenti più duri. Solo conoscendo davvero il passato possiamo costruire un futuro più consapevole e giusto.


3) In che modo la sofferenza e la guerra possono costituire spunti di riflessione, secondo lei?

La sofferenza e la guerra mettono a nudo l’anima. Costringono a guardarsi dentro e a capire cosa conta davvero. Non ho voluto raccontare l’eroismo, ma la fragilità, il dubbio, il dolore che accomuna ogni essere umano davanti alla violenza e alla perdita. Credo che queste esperienze estreme, per quanto drammatiche, possano diventare occasione di crescita interiore, di coscienza, di compassione. Se oggi possiamo riflettere su cosa significhi davvero vivere, amare, resistere, è anche grazie a quelle vite spezzate che ci hanno lasciato in eredità una lezione preziosa.