di Ilde Rampino
CHE COSA L’HA SPINTA A SCRIVERE QUESTO LIBRO?
Da qualche anno a questa parte ho preso l’abitudine di scrivere brevi saggi a sfondo filosofico sugli avvenimenti della quotidianità: quasi un diario sotto forma di riflessioni estemporanee, legate ad emozioni suscitate da fatti di cronaca la cui particolare risonanza emotiva è determinata in me da notizie rimbalzate sui media e/o sui social. La filosofia infatti è contemporaneamente uno strumento interpretativo della realtà esterna (avvenimenti, politica, attualità, arte, ecc.) e della propria vita interiore, attraverso l’esercizio dell’introspezione. In tale duplice ottica, ho preso in esame molti eventi e particolari interessanti, confrontandoli con elementi del mio background culturale ed esistenziale che mi aiutassero ad approfondirne il significato e la rilevanza filosofica. Tuttavia l’insieme dei saggi mi appariva ancora slegato e disomogeneo - privo com’era di un filo conduttore - fino a quando non mi sono resa conto del fatto che, sotteso ad ogni ragionamento o evidenza narrativa riferita alle più svariate circostanze, ovunque si celava il senso dell’incompiutezza del reale, che domina l’esistenza stessa dell’uomo. Così ho ritenuto di poter assegnare all’incompiutezza il ruolo di comune denominatore non solo dei miei saggi, ma anche della stessa realtà umana, o almeno di come la complessità di questa dimensione può essere percepita dal punto di vista (anch’esso evidentemente limitato) di una singola persona. A questo punto non restava che selezionare ed accorpare i vari saggi per categorie, in modo da fornire al lettore delle piste interpretative sufficientemente differenziate per decifrare più agevolmente i vari argomenti presi in esame. A mio giudizio - e naturalmente senza alcuna pretesa di raffronto nel merito – man mano che avanzavo nel lavoro di stesura, mi sono accorta che il testo veniva ad assumere un’impostazione strutturale logica e metodologica tale da poter essere accostata a quella utilizzata da Theodor W. Adorno nei Minima Moralia.
QUALE MESSAGGIO INTENDE TRASMETTERE ALLE GENERAZIONI Più GIOVANI?
In una società policritica come quella attuale non deve essere facile essere giovani: il futuro ormai appare più come una minaccia che come una promessa. Perciò mi piacerebbe che i ragazzi attingessero dalle mie riflessioni la fiducia nelle proprie capacità; il senso della propria identità e unicità; il desiderio di rivelarsi e affermare la propria personalità nel rispetto reciproco con tutti gli interlocutori, per un reale progresso cognitivo-affettivo ed etico della comunità umana. L’uso indiscriminato e compulsivo dei social rischia infatti di rendere prigionieri i loro pensieri nella banalità del cicaleccio quotidiano; al contrario, i giovani devono assumere consapevolezza e coltivare i loro talenti nella cooperazione cognitiva ed emotiva all’interno del gruppo di appartenenza, a sua volta (sperabilmente) configurato come comunità di ricerca. In questo percorso la filosofia dialogica può guidarli ad uscire dalla caverna platonica delle immagini seriali, per attingere alle autentiche fonti valoriali della conoscenza.
IN CHE MODO IL SENSO DELL’INCOMPIUTO GETTA UNA LUCE SULL’INTERPRETAZIONE DELLA REALTÀ?
Spesso la realtà sembra deluderci: grandi progetti, costati ore e ore di lavoro e notevole impegno economico, si interrompono per i motivi più disparati; emozioni e sentimenti che sembravano eterni si infrangono sul terreno impervio e roccioso della quotidianità; discordie ingiustificate, lutti, smarrimenti, malattie improvvise, instabilità politica ed emozioni tossiche demoliscono i nostri sogni. Come ignorare il verificarsi di tanta dispersione di energie che non giungono a portare a compimento gli obiettivi programmati, troncando promettenti relazioni e floride collaborazioni? Riconoscere il senso del limite delle cose umane è ragionevolezza, non rassegnazione o acquiescenza. E’ accettare il rischio, farne un’opportunità di crescita e cambiamento: l’incompiuto può anche indurci a voltar pagina, a cambiare punto di vista per adottare una visione del mondo più aperta e mutevole, direi multiprospettica. Ed è proprio in virtù di questa svolta cognitiva ed esistenziale che si accede alla riflessione filosofica, che è multilaterale e policentrica per definizione. Ed è solo per questa via che lo spazio lasciato vuoto in noi (e intorno a noi) dal fallimento e dall’insuccesso può essere opportunamente occupato dalla novità, dall’invenzione, dalla ricerca, dalla scoperta di nuovi paradigmi di conoscenza e creatività.